Ordinanza n.100 del 2004

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ORDINANZA N. 100

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-                                     Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

-                                     Valerio ONIDA

-                                     Carlo MEZZANOTTE

-                                     Fernanda CONTRI

-                                     Guido NEPPI MODONA

-                                     Piero Alberto CAPOTOSTI

-                                     Annibale MARINI

-                                     Franco BILE

-                                     Giovanni Maria FLICK

-                                     Francesco AMIRANTE

-                                     Ugo DE SIERVO

-                                     Romano VACCARELLA

-                                     Paolo MADDALENA

-                                     Alfonso QUARANTA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 4, e 22, comma 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza del 19 dicembre 2002 dal Tribunale di Napoli sugli appelli riuniti promossi da Corcione Michele ed altri contro INPS, iscritta al n. 104 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato Giuseppe Fabiani per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di appello avverso la sentenza pretorile, che aveva negato ad alcuni lavoratori l’applicabilità dell’art. 22 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), in quanto il loro licenziamento, intimato con preavviso il 9 agosto 1991, non era ancora efficace alla data di entrata in vigore della legge, il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 19 dicembre 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 16, comma 4, della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui non consente di percepire il trattamento di mobilità ai lavoratori licenziati prima  dell’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 (11 agosto 1991), ma per i quali l’effetto risolutivo del rapporto si è verificato solo in epoca successiva; b) dell’art. 22, comma 7, della stessa legge, nella parte in cui attribuisce il diritto all’indennità di mobilità solo ai lavoratori che, alla data predetta, già godevano della disoccupazione speciale e non anche a coloro che non ne usufruivano per essere il loro licenziamento (già intimato) non ancora produttivo di effetti alla data dell’11 agosto 1991;

che il giudice a quo specifica di aver riunito due distinti appelli concernenti, rispettivamente, un gruppo di lavoratori ai quali, come accertato a seguito di istruttoria compiuta nel corso del giudizio di gravame, la comunicazione del licenziamento era pervenuta dopo la data di entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 ed altri tre lavoratori per i quali l’intimazione del licenziamento doveva invece ritenersi come intervenuta anteriormente;

che il remittente giudica infondato l’appello dei primi, in quanto basato esclusivamente sull’art. 22, comma 7, legge n. 223 del 1991, mentre la fattispecie avrebbe invece dovuto essere ricompresa nella normativa a regime della legge citata, ma afferma essergli inibito, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, decidere nel senso suddetto la controversia, perché vincolato sia alle deduzioni di parte sia al giudicato che si è formato sul punto;

che il Tribunale individua quindi, nel combinato disposto degli artt. 16, comma 4, e 22, comma 7, della legge n. 223 del 1991, tre possibili situazioni soggettive: 1) lavoratori ai quali il licenziamento è stato intimato prima dell’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 e i cui effetti si sono prodotti anteriormente alla entrata in vigore della legge stessa, cui si applica il regime transitorio di cui all’art. 22, comma 7, della legge n. 223 del 1991; 2) lavoratori ai quali il licenziamento è stato intimato dopo l’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 e i cui effetti si sono prodotti in un momento successivo, soggetti integralmente alla nuova disciplina a regime; 3) lavoratori ai quali il licenziamento è stato intimato prima dell’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991, ma i cui effetti si sono prodotti dopo tale data;

che, secondo il remittente, tale ultima categoria (in cui egli colloca la maggioranza degli appellanti) può beneficiare in via transitoria del solo trattamento di disoccupazione speciale, la cui disciplina continua ad applicarsi in virtù della specifica clausola di salvezza contenuta nell’art. 16, comma 4, della legge n. 223 del 1991 e non del più favorevole regime di cui all’art. 22, comma 7 (che consente a quei lavoratori che, prima della entrata in vigore della legge n. 223 del 1991, avevano titolo alla disoccupazione speciale di essere iscritti nelle liste di mobilità, con diritto a percepire la relativa indennità nella misura iniziale pari al trattamento speciale di disoccupazione da essi precedentemente percepito, per un periodo non superiore a centottanta giorni);

che sarebbe perciò ravvisabile una disparità di trattamento tra questi ultimi lavoratori e quelli appartenenti  alle due prime categorie anzidette, accentuata dalla previsione di un trattamento deteriore proprio per quei lavoratori, destinatari di un licenziamento anteriore all’entrata in vigore della legge medesima, cessati dal lavoro in un momento successivo per aver prestato la loro opera durante il preavviso, in tal modo penalizzati rispetto ai licenziati “in tronco”, i quali si trovano immediatamente nelle condizioni per godere della disoccupazione speciale, ai sensi dell’art. 22, comma 7, citato;

che, oltre alle indicate violazioni dell’art. 3 Cost., risulterebbe anche vulnerato l’art. 38 Cost., in quanto, per i lavoratori in argomento, la misura del trattamento di disoccupazione involontaria sarebbe inferiore all’indennità di mobilità;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, preliminarmente eccependo l’inammissibilità della questione, per la contraddizione insita nell’aver rilevato l’esistenza del giudicato sollevando nel contempo il dubbio di costituzionalità;

che, nel merito, l’Avvocatura osserva come la domanda dei lavoratori fosse comunque diretta a percepire l’indennità di mobilità e non il trattamento speciale di disoccupazione, con la conseguente, riduttiva ed erronea qualificazione giuridica della domanda da parte del Tribunale, che inoltre non avrebbe neppure esplorato la possibilità di un’interpretazione adeguatrice;

che nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito l’INPS, concludendo per l’infondatezza della questione poiché – premesso che l’art. 16, comma 4, sarebbe espressione del principio d’irretroattività – la trasformazione del trattamento di disoccupazione nella nuova indennità di mobilità, prevista dall’art. 22, comma 7, non risulterebbe irragionevole o lesiva della parità di trattamento, in quanto, oltre ad essere subordinata a specifici presupposti, avrebbe un ambito soggettivo ed oggettivo limitato nel tempo e nel territorio;

che, quanto all’art. 38 Cost., l’INPS ricorda come tra le prestazioni erogate dall’assicurazione contro la disoccupazione vadano inclusi, oltre all’indennità di mobilità, anche i trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione per altri settori dell’attività produttiva (industria, edilizia ed agricoltura), da ritenere comunque adeguati, a meno di non seguire l’ottica del remittente, per cui tutte le prestazioni di disoccupazione diverse dall’indennità di mobilità dovrebbero essere stimate non rispondenti al precetto costituzionale evocato.

Considerato che nell’ordinanza di rimessione si afferma che tutti i licenziamenti erano stati intimati con preavviso in data 9 agosto 1991 e che durante il relativo periodo i lavoratori avevano prestato la loro opera;

che, di conseguenza, il pretore aveva ritenuto che i licenziamenti avessero prodotto i loro effetti successivamente all’11 agosto 1991, data di entrata in vigore della legge n. 223 del 1991;

che – sia pure con riferimento non tanto alla scadenza del preavviso, come ritenuto dal primo giudice, bensì alle date di ricevimento delle lettere di recesso, tutte fuorchè tre successive all’11 agosto 1991 – il remittente afferma «la diretta applicazione della nuova disciplina della mobilità» e non della disciplina transitoria prevista dall’art. 22, comma 7, della legge citata, alla situazione dei lavoratori così accertata, sostenendo però che tale applicazione gli è preclusa perché gli appellanti hanno sempre fondato le proprie pretese esclusivamente sul predetto comma 7 dell’art. 22;

che l’individuazione di una categoria di lavoratori da considerare licenziati prima dell’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 – perché a tale periodo risale la spedizione delle lettere di licenziamento – come titolari soltanto ed illegittimamente del diritto all’indennità di disoccupazione, contraddice l’assunto dello stesso Tribunale, secondo il quale ciò che conta è la ricezione dell’atto, e contrasta con la disciplina del licenziamento con preavviso;

che da quanto rilevato risulta che il giudice a quo ha costruito le questioni di legittimità costituzionale non sull’interpretazione della legge nella sua astrattezza, bensì sulle evenienze, da lui stesso ritenute patologiche, del concreto giudizio devolutogli, con le preclusioni verificatesi in grado di appello;

che di quanto detto si ha riprova constatando che la pronuncia additiva postulata, proprio perché modellata in tesi sul caso singolo e non sulla legge astrattamente considerata, introdurrebbe nell’ordinamento contraddizioni insuperabili;

che, pertanto, le questioni sono manifestamente inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 4, e 22, comma 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2004.